venerdì 13 marzo 2015

Quanti mulini a vento si scambiano per altro? Intervento di Angelo Sconosciuto



Alle 15.31 dell'11 marzo, il primo annuncio dell’Ansa con gli stelloncini di richiamo: «Studiosi, ritrovati resti di Cervantes». Alle 15.39, quindi, la notizia completa. «Gli studiosi che da mesi conducono le ricerche dei resti del padre di don Chisciotte, Miguel de Cervantes, nella chiesa delle Trinitarie scalze di Madrid, sono convinti di aver ritrovato le ossa dello scrittore e di sua moglie, Catalina de Salazar. Caute le fonti del Comune madrileno, che finanzia i lavori: i frammenti recuperati "sono in pessimo stato"», conclude il primo lancio.
Ed il secondo: «Per il Comune al momento "non si può garantire si tratti dei resti di Cervantes e della moglie".
I residui di ossa, secondo le fonti, sono stati ritrovati assieme a materiale osseo di vari adulti e bambini in una delle cripte, che non è nel punto in cui l’autore del Don Chisciotte fu sepolto nel 1616, ma dove la salma fu successivamente trasferita nel 1673, quando cominciarono i lavori di riforma della chiesa, ubicata nel quartiere de las Letras di Madrid. "Non troveremo Cervantes con il suo nome iscritto sul feretro", ha ironizzato il medico forense, Francisco Etxebarria, che guida la squadra di ricercatori, in dichiarazioni ai media. I particolari del ritrovamento saranno resi noti in una conferenza stampa al Comune di Madrid, ancora senza data. L’istituzione ha promosso e finanziato le ricerche dei resti di Cervantes, del quale si celebreranno i 400 anni dalla morte nell’aprile 2016, devoto dell’ordine delle Trinitarie scalze, che lo salvarono da cinque anni di prigionia ad Algeri».
Nella mattinata di ieri, infatti, poco prima di mezzogiorno, era stato Rafael Fraguas, giornalista e scrittore che segue le vicende legate a Cervantes in questo scorcio di XXI secolo, a scrivere sul sito di «El pais» che «los investigadores creen que los restos hallados son de Cervantes», mettendo in rete anche un video di prim’ordine.
La notizia era nell’aria perchè a fine gennaio scorso, intorno al 24, anche il pubblico italiano aveva saputo che «gli esperti che stanno cercando i resti di Miguel de Cervantes nella cripta della Chiesa delle Trinitarie, nel Barrio de las Letras di Madrid, sono entrati nella fase finale degli scavi, in corso da nove mesi, per tentare risolvere il mistero di dove è sepolto lo scrittore spagnolo». Ed infatti si ricordava che, proprio il 24 gennaio, un team di archeologi e antropologi avevano iniziato «a scavare nella cappella della cripta della chiesa in corrispondenza del luogo in cui sono state identificate tre tombe non registrate. Le ossa saranno esumate e analizzate – si spiegava», mentre Almudena Garcia Rubio aveva detto che se i resti di Cervantes non fossero stati trovati dove si stava attualmente scavando, vi erano altre possibilità.
Tecnici e ricercatori concordano sul fatto che è documentata la sepoltura di Cervantes nel convento dell’ordine trinitario, che lo salvò quando lo scrittore fu arrestato ad Algeri, come ricorda una placca commemorativa sulla facciata laterale dell’edificio. Quello che non è documentato è che il corpo di Cervantes fu esumato in occasione della ristrutturazione del convento, sul quale venne successivamente edificata l’attuale chiesa, per cui si presume che i resti siano stati trasferiti nella parte laterale della Chiesa delle Trinitarie.
Ieri, dunque, anche se in maniera non ufficiale, l’annuncio del ritrovamento ha posto un punto fermo, liberando il pensiero. «En un lugar de la Mancha, du cuyo nombre non quiero acordarne, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco Y galgo corredor», leggiamo all’inizio del primo capitolo, ma questa volta, tradurre non è tradire, se leggiamo con Vittorio Bodini: «In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia».
Ma quando, nel Salento così spagnolo nel suo codice genetico, si è iniziato a parlare di Don Chisciotte e del suo fedele Sancho? Quando si è iniziato a leggere questo monumento del Siglo de Oro, il più celebrato romanzo della letteratura spagnola? Non c’è qui, ad esempio, una spia di conferma simile al “Don Chisciotti e Sanciu Panza” in siciliano di Giovanni Meli (1785-87), né abbiamo echi dell’opera musicale di Giovanni Paisiello (1769). Bisogna accontentarsi delle opere custodite nelle biblioteche e quindi è difficile rispondere a quella domanda con una plausibile approssimazione.
Di certo lo troviamo, il capolavoro di Cervantes, nell’Ottocento salentino e così dobbiamo ricordare un’edizione del 1832-33, stampata a Milano (Per Gaspare Truffi e C.). Si tratta della traduzione italiana (non sempre lucida) di Lorenzo Franciosini (1622-25) “nuovamente riscontrata con testo spagnolo e reintegrata per cura e studio di Luigi Toccagni” (1788-1853). È conservata nella “Siciliani” di Galatina, mentre del 1851, nella “Vergari” di Nardò, è l’edizione napoletana “sull’ultima di Milano”, tradotta da Bartolomeo Gamba, scrittore e bibliografo di tutto rispetto, e stampata da Giosuè Rondinella.
Una splendida edizione in lingua originale, stampata da Garnier a Parigi nel 1864, invece, peraltro “edicion conforme á la última corregida por la Academia Espanola” è nella Biblioteca Comi a Lucugnano. Dello stesso anno, infine, è l’edizione stampata da Francesco Pagnoni a Milano e conservata nella “Bernardini” a Lecce. Spostandosi nel Brindisino, ancora, ecco nella biblioteca “De Leo”, i due volumi pubblicati da Sonzogno a fine XIX secolo.
Grande attenzione al testo, dunque, poca alle illustrazioni. Eppure, solo un anno prima dell’edizione parigina del Garnier era uscito, nella capitale francse, il “Don Quixote” illustrato da Gustav Doré, che nel frattempo provvedeva a realizzare le incisioni della Commedia dantesca.
Grazie all’incisore avremmo visto (oltre che leggere) come si naufraga in un mondo di libri, ma soprattutto ci saremmo accorti di come una realtà possa avere tanti punti di vista. Quanti mulini a vento si scambiano per altro? Ma questo interrogativo ci porta assai lontano e allora, come il prode Sancho, talvolta conviene restare “popolani” e con i piedi ben saldi al suolo.

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