Alle
15.31 dell'11 marzo, il primo annuncio dell’Ansa con gli stelloncini di
richiamo: «Studiosi, ritrovati resti di Cervantes». Alle 15.39, quindi, la
notizia completa. «Gli studiosi che da mesi conducono le ricerche dei resti del
padre di don Chisciotte, Miguel de Cervantes, nella chiesa delle Trinitarie
scalze di Madrid, sono convinti di aver ritrovato le ossa dello scrittore e di
sua moglie, Catalina de Salazar. Caute le fonti del Comune madrileno, che
finanzia i lavori: i frammenti recuperati "sono in pessimo stato"»,
conclude il primo lancio.
Ed
il secondo: «Per il Comune al momento "non si può garantire si tratti dei
resti di Cervantes e della moglie".
I
residui di ossa, secondo le fonti, sono stati ritrovati assieme a materiale
osseo di vari adulti e bambini in una delle cripte, che non è nel punto in cui
l’autore del Don Chisciotte fu sepolto nel 1616, ma dove la salma fu
successivamente trasferita nel 1673, quando cominciarono i lavori di riforma
della chiesa, ubicata nel quartiere de las Letras di Madrid. "Non
troveremo Cervantes con il suo nome iscritto sul feretro", ha ironizzato
il medico forense, Francisco Etxebarria, che guida la squadra di ricercatori,
in dichiarazioni ai media. I particolari del ritrovamento saranno resi noti in
una conferenza stampa al Comune di Madrid, ancora senza data. L’istituzione ha
promosso e finanziato le ricerche dei resti di Cervantes, del quale si
celebreranno i 400 anni dalla morte nell’aprile 2016, devoto dell’ordine delle
Trinitarie scalze, che lo salvarono da cinque anni di prigionia ad Algeri».
Nella
mattinata di ieri, infatti, poco prima di mezzogiorno, era stato Rafael
Fraguas, giornalista e scrittore che segue le vicende legate a Cervantes in
questo scorcio di XXI secolo, a scrivere sul sito di «El pais» che «los
investigadores creen que los restos hallados son de Cervantes», mettendo in
rete anche un video di prim’ordine.
La
notizia era nell’aria perchè a fine gennaio scorso, intorno al 24, anche il
pubblico italiano aveva saputo che «gli esperti che stanno cercando i resti di
Miguel de Cervantes nella cripta della Chiesa delle Trinitarie, nel Barrio de
las Letras di Madrid, sono entrati nella fase finale degli scavi, in corso da
nove mesi, per tentare risolvere il mistero di dove è sepolto lo scrittore spagnolo».
Ed infatti si ricordava che, proprio il 24 gennaio, un team di archeologi e
antropologi avevano iniziato «a scavare nella cappella della cripta della
chiesa in corrispondenza del luogo in cui sono state identificate tre tombe non
registrate. Le ossa saranno esumate e analizzate – si spiegava», mentre
Almudena Garcia Rubio aveva detto che se i resti di Cervantes non fossero stati
trovati dove si stava attualmente scavando, vi erano altre possibilità.
Tecnici
e ricercatori concordano sul fatto che è documentata la sepoltura di Cervantes
nel convento dell’ordine trinitario, che lo salvò quando lo scrittore fu
arrestato ad Algeri, come ricorda una placca commemorativa sulla facciata
laterale dell’edificio. Quello che non è documentato è che il corpo di
Cervantes fu esumato in occasione della ristrutturazione del convento, sul
quale venne successivamente edificata l’attuale chiesa, per cui si presume che
i resti siano stati trasferiti nella parte laterale della Chiesa delle
Trinitarie.
Ieri,
dunque, anche se in maniera non ufficiale, l’annuncio del ritrovamento ha posto
un punto fermo, liberando il pensiero. «En un lugar de la Mancha, du cuyo
nombre non quiero acordarne, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de
lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco Y galgo corredor», leggiamo
all’inizio del primo capitolo, ma questa volta, tradurre non è tradire, se
leggiamo con Vittorio Bodini: «In un paese della Mancia, di cui non voglio fare
il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia
nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da
caccia».
Ma
quando, nel Salento così spagnolo nel suo codice genetico, si è iniziato a
parlare di Don Chisciotte e del suo fedele Sancho? Quando si è iniziato a
leggere questo monumento del Siglo de Oro,
il più celebrato romanzo della letteratura spagnola? Non c’è qui, ad esempio,
una spia di conferma simile al “Don Chisciotti e Sanciu Panza” in siciliano di
Giovanni Meli (1785-87), né abbiamo echi dell’opera musicale di Giovanni
Paisiello (1769). Bisogna accontentarsi delle opere custodite nelle biblioteche
e quindi è difficile rispondere a quella domanda con una plausibile
approssimazione.
Di
certo lo troviamo, il capolavoro di Cervantes, nell’Ottocento salentino e così
dobbiamo ricordare un’edizione del 1832-33, stampata a Milano (Per Gaspare
Truffi e C.). Si tratta della traduzione italiana (non sempre lucida) di
Lorenzo Franciosini (1622-25) “nuovamente riscontrata con testo spagnolo e
reintegrata per cura e studio di Luigi Toccagni” (1788-1853). È conservata
nella “Siciliani” di Galatina, mentre del 1851, nella “Vergari” di Nardò, è
l’edizione napoletana “sull’ultima di Milano”, tradotta da Bartolomeo Gamba,
scrittore e bibliografo di tutto rispetto, e stampata da Giosuè Rondinella.
Una
splendida edizione in lingua originale, stampata da Garnier a Parigi nel 1864,
invece, peraltro “edicion conforme á la última corregida por la Academia
Espanola” è nella Biblioteca Comi a Lucugnano. Dello stesso anno, infine, è
l’edizione stampata da Francesco Pagnoni a Milano e conservata nella “Bernardini”
a Lecce. Spostandosi nel Brindisino, ancora, ecco nella biblioteca “De Leo”, i
due volumi pubblicati da Sonzogno a fine XIX secolo.
Grande
attenzione al testo, dunque, poca alle illustrazioni. Eppure, solo un anno
prima dell’edizione parigina del Garnier era uscito, nella capitale francse, il
“Don Quixote” illustrato da Gustav Doré, che nel frattempo provvedeva a
realizzare le incisioni della Commedia
dantesca.
Grazie
all’incisore avremmo visto (oltre che leggere) come si naufraga in un mondo di
libri, ma soprattutto ci saremmo accorti di come una realtà possa avere tanti
punti di vista. Quanti mulini a vento si scambiano per altro? Ma questo
interrogativo ci porta assai lontano e allora, come il prode Sancho, talvolta
conviene restare “popolani” e con i piedi ben saldi al suolo.
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