lunedì 4 maggio 2015

Gerusalemme e la terra Santa in tre recenti e interessanti pubblicazioni. Intervento di Angelo Sconosciuto



Recita il salmo 122, scritto da Davide e conosciuto come uno dei canti della salite: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”.2 Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!3 Gerusalemme è costruita come città unita e compatta.4 È là che salgono le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge d'Israele, per lodare il nome del Signore». Bisogna andarci a Gerusalemme per capire ciò che il salmo vuol, dire davvero.
«Gerusalemme e la Terra Santa sono i luoghi di cui ciascuno ha sentito maggiormente parlare: grazie ai racconti biblici, attraverso i vangeli, per via della glorificazione islamica della città e, infine, in virtù della cronaca recente di questo secolo, che ha visto l’intera area divenire lo scenario di un aspro conflitto», legge il turista meno accorto su una delle più diffuse guide, mentre tutti i dizionari di storia concordano su un punto: «La questione del suo status resta uno degli ostacoli maggiori nel processo di pace avviato dagli accordi israelo-palestinesi del 1993». Certo è che Gerusalemme e la Terra Santa per le religioni monoteiste hanno una valenza unica, spiegabile fino al punto in cui finitezza umana ed infinito cercano un luogo d’incontro. Di Gerusalemme bisogna saper ascoltare gli uomini e le cose e da lì si va via diversi.
«Al termine della lettura, sgorga dal cuore la lode alla misericordia dell’eterno, che trasforma e custodisce i nostri cuori, operando in noi le meraviglie che ha compiuto nei nostri Padri, anche attraverso i sentieri tante volte contorti delle logiche umane troppo umane». Così mons. Bruno Forte, ad esempio, conclude la Presentazione del libro-intervista che l’attuale Patriarca latino di Gerusalemme, FouadTwal , propone a cura di Nicola Scopelliti, apprezzato giornalista con base di lavoro in Veneto e sguardo aperto ad ampli orizzonti (F. TWAL, Gerusalemme capitale dell’umanità a cura di N. Scopelliti, La Scuola, Brescia 2014, 269, € 15,50). «Questo libro è nato dopo diversi incontri avvenuti nel palazzo del Patriarcato Latino attraverso vari colloqui, al termine della recita comune del rosario», avverte Scopelliti che confessa: «Dialogare con il patriarca della Chiesa madre non è stato per nulla facile. La sua, infatti, è una diocesi piena di contraddizioni, che lui vive con tranquillità, mettendole nelle mani di Colui che può tutto: “Se Lui mi ha voluto alla guida della sua Chiesa Madre, sarà Lui a darmi la forza per saperla guidare”, è solito ripetere».
E proprio nella forma dell’autentico colloquio scorrono i 24 capitoli di questa intervista, in cui il Patriarca parla di «un diplomatico diventato vescovo», di come «accogliere la buona novella», di cosa significhi essere «segretario di nunziatura», della “nomina a coadiutore del Patriarca».
Ma per il Patriarca è importante riflettere anche sulla «chiamata al sacerdozio», su come essere «seguaci del Battista» e ancora su «La Chiesa del calvario» e sul «denaro (che) diventa sempre più un idolo», su «una chiesa viva» e sull’essere «pellegrini sulle orme di Gesù».
Non dimentica peraltro, l’intervistato, «l’incontro con Paolo VI e Papa Wojtyla», su come fu «sfiorato l’incidente diplomatico». Ma così siamo ancora a metà libro-intervista e gli altri dodici capitoli non sono meno interessanti di quelli già riferiti, perché si riflette sulla libertà religiosa in Israele e in tutta quella regione, sul dialogo interreligioso, e si conclude che «l’evangelizzazione è il cuore del Medio Oriente».
A libro chiuso, ed oltre la data di uscita che coincideva con il viaggio in Terra Santa di papa Francesco, è agevole condividere la conclusione di mons. Forte e magari vi si aggiunge l’osservazione di Scopelliti: «La Terra Santa è una terra dalle mille contraddizioni, ma con una sola certezza: Cristo! È Cristo la nostra pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. (Gv 14,27) Basta conflitti! Basta prigionieri! Basta divisioni tra cristiani!».
Gerusalemme e la Terra Santa, in ogni caso, vanno lette e assimilate avendo a disposizione il maggior numero di elementi possibile. E così, condotta sulla quinta edizione inglese dell’Oxford University Press, ecco che ad un anno dalla morte dell’autore, «The Holy Land» del domenicano Jerome Murphy-O’ Connor (1935-2013) viene tradotta da Romeo Fabbri e pubblicata quale nuova edizione riveduta ed ampliata (J. MURPHY-O’CONNOR, La Terra Santa. Guida storico-archeologica, EDB-Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2014, 621, € 35,00). La singola esperienza umana e di ricerca dell’autore, già professore di Nuovo Testamento all’École Biblique et Archéologique Française a Gerusalemme, quella stessa istituzione che ha prodotto la Bibbia di Gerusalemme ed è stata capace di scavare ed interpretare l’insediamento di Qumram, fa sì che questo ponderoso volume diventi un punto fermo per i tanti che vogliono saperne di più. La guida è aggiornata con i risultati degli scavi più recenti ed arricchita di voci su un ampio ventaglio di località, «dai siti preistorici ai templi romani, dalle sinagoghe di epoca bizantina ai mulini crociati». La si dice pensata «soprattutto per chi visita i luoghi per la prima volta», in realtà la guida, «concreto ed efficace manuale di introduzione all’archeologia» è utilissima anche a chi è già stato a Gerusalemme ed In Terra Santa, a chi è tornato più volte in quei luoghi, ma vuole continuare ad avere tra le mani – è quella la funzione di un enchiridion - il quadro più aggiornato del lavoro di ricerca sul campo attualmente in circolazione. Utilissimi, poi, sono i lacerti dei classici che, qua e là con fondo grigio, impreziosiscono il certosino lavoro del padre domenicano.
C’è un groviglio di sentimenti, di situazioni, di popoli, di storia, invece, nelle immagini che danno vita a quell’unicum del libro fotografico di Giovanni Chiaramonte, pubblicato pochi mesi addietro dalla Libreria editrice Vaticana (G. CHIARAMONTE, Jerusalem, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, 95, € 35,00). Eppure, avverte Umberto Fiori - poeta di grande spessore che impreziosisce gli scatti di Chiaramonte con opportune descritture: “Di queste strade bianche,/ del cammello all’incrocio tra i furgoni, di scarpe e minareti, delle croci/ accatastate a una parete (voragini/ che il giorno ti spalanca nella retina)/ non ti farai un’immagine”. È davvero la luce che qui scrive per il fotografo, le cui immagini si generano sin dall’inizio nell’estetica teologica di Guardini, von Balthasar, Evodkimov. A sfogliare le pagine vien subito da pensare al suo sacrificio nello scegliere quali inserire in un libro, pur sempre limitato nell’angustia delle pagine e vien da riflettere a cosa sia rimasto fuori, alle altre risonanze che pure avrebbero aiutato il fruitore delle sue mostre, come dei suoi libri.
Sfogliando “Jerusalem”, appunto, sembra di capire come non sia esatto cercarvi una lettura politica, dividendo magari gli scatti tra ebrei ed arabi, tra israeliani e palestinesi. La si vede, una simile lettura, se non fuorviante, almeno limitante. E si prova, dunque, a dare due capoversi dello scritto dell’autore (Figure della promessa) per cercare di comprendere la portata delle immagini pubblicate: «Fin dall’inizio della mia esistenza io come tanti, forse come tutti, ho vissuto l’esperienza del sentirmi nato lontano: lontano da me stesso come lontano dal luogo sconosciuto in cui avrei voluto e dovuto essere posto secondo il desiderio del cuore». E ancora: «Nel qui dove io ora sono, a proposito di Gerusalemme, come Tobia posso dire che gli abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo nome, portando in mano doni, per il re del cielo. Generazioni e generazioni esprimeranno in te esultanza e il nome della città eletta durerà nei secoli. Nell’immagine impressa dalla luce – conclude Chiaramonte – vive soltanto il tempo presente: come una profezia del Giudizio, la fotografia testimonia che non ci può essere nostalgia del tempo passato o paura del tempo futuro, perché nel dramma di ogni momento respira e si rivela come speranza l’istante perenne della memoria di Dio».
Gerusalemme e la Terra Santa, per chi ha avuto l’opportunità di andarci, contribuiscono a formare l’idea di cosa sia l’ineffabile, perché arrivati ad un certo punto di ogni discorso che su di esse si riesce a fare, ci si rende conto che qualcosa che si voleva dire non si è detta. Sarà anche questione di pace. Ed allora, usando le parole di un profondo conoscitore di quella realtà, lo storico Franco Cardini, non resta a ciascuno che augurarsi la pace, formulandola per quella città: «Alla mia dolce Gerusalemme – dove tante volte ho appoggiato la fronte sulla pietra del Santo Sepolcro e dove per la prima volta in vita mia ascoltai molti anni fa, come avrebbe voluto ascoltarlo Federico II, il richiamo del muezzin nella notte – l’augurio che la pace di Dio sia finalmente con lei».

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