Recita il salmo
122, scritto da Davide e conosciuto come uno dei canti della salite: «Quale
gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”.2 Già
sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!3 Gerusalemme
è costruita come città unita e compatta.4 È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore, secondo la legge d'Israele, per lodare il nome del
Signore». Bisogna andarci a Gerusalemme per capire ciò che il salmo vuol, dire
davvero.
«Gerusalemme e
la Terra Santa sono i luoghi di cui ciascuno ha sentito maggiormente parlare:
grazie ai racconti biblici, attraverso i vangeli, per via della glorificazione
islamica della città e, infine, in virtù della cronaca recente di questo
secolo, che ha visto l’intera area divenire lo scenario di un aspro conflitto»,
legge il turista meno accorto su una delle più diffuse guide, mentre tutti i
dizionari di storia concordano su un punto: «La questione del suo status resta uno degli ostacoli maggiori
nel processo di pace avviato dagli accordi israelo-palestinesi del 1993». Certo
è che Gerusalemme e la Terra Santa per le religioni monoteiste hanno una
valenza unica, spiegabile fino al punto in cui finitezza umana ed infinito
cercano un luogo d’incontro. Di Gerusalemme bisogna saper ascoltare gli uomini
e le cose e da lì si va via diversi.
«Al termine della lettura, sgorga
dal cuore la lode alla misericordia dell’eterno, che trasforma e custodisce i
nostri cuori, operando in noi le meraviglie che ha compiuto nei nostri Padri,
anche attraverso i sentieri tante volte contorti delle logiche umane troppo
umane». Così mons. Bruno Forte, ad esempio, conclude la Presentazione del libro-intervista che l’attuale Patriarca latino
di Gerusalemme, FouadTwal , propone a cura di Nicola Scopelliti, apprezzato
giornalista con base di lavoro in Veneto e sguardo aperto ad ampli orizzonti
(F. TWAL, Gerusalemme capitale
dell’umanità a cura di N. Scopelliti, La Scuola, Brescia 2014, 269, €
15,50). «Questo libro è nato dopo diversi incontri avvenuti nel palazzo del
Patriarcato Latino attraverso vari colloqui, al termine della recita comune del
rosario», avverte Scopelliti che confessa: «Dialogare con il patriarca della
Chiesa madre non è stato per nulla facile. La sua, infatti, è una diocesi piena
di contraddizioni, che lui vive con tranquillità, mettendole nelle mani di
Colui che può tutto: “Se Lui mi ha voluto alla guida della sua Chiesa Madre,
sarà Lui a darmi la forza per saperla guidare”, è solito ripetere».
E
proprio nella forma dell’autentico colloquio scorrono i 24 capitoli di questa
intervista, in cui il Patriarca parla di «un diplomatico diventato vescovo», di
come «accogliere la buona novella», di cosa significhi essere «segretario di
nunziatura», della “nomina a coadiutore del Patriarca».
Ma per
il Patriarca è importante riflettere anche sulla «chiamata al sacerdozio», su
come essere «seguaci del Battista» e ancora su «La Chiesa del calvario» e sul
«denaro (che) diventa sempre più un idolo», su «una chiesa viva» e sull’essere
«pellegrini sulle orme di Gesù».
Non
dimentica peraltro, l’intervistato, «l’incontro con Paolo VI e Papa Wojtyla»,
su come fu «sfiorato l’incidente diplomatico». Ma così siamo ancora a metà
libro-intervista e gli altri dodici capitoli non sono meno interessanti di
quelli già riferiti, perché si riflette sulla libertà religiosa in Israele e in
tutta quella regione, sul dialogo interreligioso, e si conclude che
«l’evangelizzazione è il cuore del Medio Oriente».
A
libro chiuso, ed oltre la data di uscita che coincideva con il viaggio in Terra
Santa di papa Francesco, è agevole condividere la conclusione di mons. Forte e
magari vi si aggiunge l’osservazione di Scopelliti: «La Terra Santa è una terra
dalle mille contraddizioni, ma con una sola certezza: Cristo! È Cristo la
nostra pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. (Gv 14,27) Basta
conflitti! Basta prigionieri! Basta divisioni tra cristiani!».
Gerusalemme e la Terra Santa, in
ogni caso, vanno lette e assimilate avendo a disposizione il maggior numero di
elementi possibile. E così, condotta sulla quinta edizione inglese dell’Oxford
University Press, ecco che ad un anno dalla morte dell’autore, «The Holy Land»
del domenicano Jerome Murphy-O’ Connor (1935-2013) viene tradotta da Romeo
Fabbri e pubblicata quale nuova edizione riveduta ed ampliata (J.
MURPHY-O’CONNOR, La Terra Santa. Guida
storico-archeologica, EDB-Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2014, 621, €
35,00). La singola
esperienza umana e di ricerca dell’autore, già professore di Nuovo Testamento
all’École Biblique et Archéologique Française a Gerusalemme, quella stessa
istituzione che ha prodotto la Bibbia di Gerusalemme ed è stata capace di
scavare ed interpretare l’insediamento di Qumram, fa sì che questo ponderoso
volume diventi un punto fermo per i tanti che vogliono saperne di più. La guida
è aggiornata con i risultati degli scavi più recenti ed arricchita di voci su
un ampio ventaglio di località, «dai siti preistorici ai templi romani, dalle
sinagoghe di epoca bizantina ai mulini crociati». La si dice pensata
«soprattutto per chi visita i luoghi per la prima volta», in realtà la guida,
«concreto ed efficace manuale di introduzione all’archeologia» è utilissima
anche a chi è già stato a Gerusalemme ed In Terra Santa, a chi è tornato più
volte in quei luoghi, ma vuole continuare ad avere tra le mani – è quella la
funzione di un enchiridion - il
quadro più aggiornato del lavoro di ricerca sul campo attualmente in
circolazione. Utilissimi, poi, sono i lacerti dei classici che, qua e là con
fondo grigio, impreziosiscono il certosino lavoro del padre domenicano.
C’è
un groviglio di sentimenti, di situazioni, di popoli, di storia, invece, nelle
immagini che danno vita a quell’unicum del
libro fotografico di Giovanni Chiaramonte, pubblicato pochi mesi addietro dalla
Libreria editrice Vaticana (G. CHIARAMONTE, Jerusalem,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, 95, € 35,00). Eppure,
avverte Umberto Fiori - poeta di grande spessore che impreziosisce gli scatti
di Chiaramonte con opportune descritture: “Di queste strade bianche,/ del
cammello all’incrocio tra i furgoni, di scarpe e minareti, delle croci/
accatastate a una parete (voragini/ che il giorno ti spalanca nella retina)/
non ti farai un’immagine”. È davvero la luce che qui scrive per il fotografo,
le cui immagini si generano sin dall’inizio nell’estetica teologica di
Guardini, von Balthasar, Evodkimov. A sfogliare le pagine vien subito da
pensare al suo sacrificio nello scegliere quali inserire in un libro, pur
sempre limitato nell’angustia delle pagine e vien da riflettere a cosa sia
rimasto fuori, alle altre risonanze che pure avrebbero aiutato il fruitore
delle sue mostre, come dei suoi libri.
Sfogliando
“Jerusalem”, appunto, sembra di capire come non sia esatto cercarvi una lettura
politica, dividendo magari gli scatti tra ebrei ed arabi, tra israeliani e
palestinesi. La si vede, una simile lettura, se non fuorviante, almeno
limitante. E si prova, dunque, a dare due capoversi dello scritto dell’autore
(Figure della promessa) per cercare di comprendere la portata delle immagini
pubblicate: «Fin
dall’inizio della mia esistenza io come tanti, forse come tutti, ho vissuto
l’esperienza del sentirmi nato lontano: lontano da me stesso come lontano dal
luogo sconosciuto in cui avrei voluto e dovuto essere posto secondo il
desiderio del cuore».
E ancora: «Nel
qui dove io ora sono, a proposito di Gerusalemme, come Tobia posso dire che gli
abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo
nome, portando in mano doni, per il re del cielo. Generazioni e generazioni
esprimeranno in te esultanza e il nome della città eletta durerà nei secoli.
Nell’immagine impressa dalla luce – conclude Chiaramonte – vive soltanto il
tempo presente: come una profezia del Giudizio, la fotografia testimonia che
non ci può essere nostalgia del tempo passato o paura del tempo futuro, perché
nel dramma di ogni momento respira e si rivela come speranza l’istante perenne
della memoria di Dio».
Gerusalemme e la Terra Santa, per
chi ha avuto l’opportunità di andarci, contribuiscono a formare l’idea di cosa
sia l’ineffabile, perché arrivati ad un certo punto di ogni discorso che su di
esse si riesce a fare, ci si rende conto che qualcosa che si voleva dire non si
è detta. Sarà anche questione di pace. Ed allora, usando le parole di un
profondo conoscitore di quella realtà, lo storico Franco Cardini, non resta a
ciascuno che augurarsi la pace, formulandola per quella città: «Alla mia dolce
Gerusalemme – dove tante volte ho appoggiato la fronte sulla pietra del Santo
Sepolcro e dove per la prima volta in vita mia ascoltai molti anni fa, come
avrebbe voluto ascoltarlo Federico II, il richiamo del muezzin nella notte –
l’augurio che la pace di Dio sia finalmente con lei».
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