sabato 16 maggio 2015

L'abitudine è la più infame delle malattie ... di Katiuscia Di Rocco



All'interno della Repubblica di Macedonia, la principale divergenza politica è tra i partiti basati per la maggior parte su distinzioni etniche e che rappresentano la maggioranza macedone del paese e la minoranza albanese. La questione del bilanciamento dei poteri tra le due comunità portò a una breve guerra civile nel 2001, in seguito alla quale è stato raggiunto un accordo sulla condivisione dei poteri. La Repubblica di Macedonia rimase in pace durante la Guerra civile jugoslava nei primi anni novanta ma fu parzialmente coinvolta nella Guerra del Kosovo nel 1999, quando circa 360 000 albanesi si rifugiarono dal Kosovo nel paese. I profughi ritornarono velocemente nella loro regione alla fine della guerra, ma, poco dopo, i radicali albanesi di entrambi i lati del confine presero le armi per rivendicare l'autonomia o l'indipendenza per le aree a maggioranza albanese della Repubblica. Venne combattuta una piccola guerra civile e le etnie albanesi si ribellarono, soprattutto nel nord e nell'est del paese, nel marzo/giugno del 2001. Si arrivò a una conclusione del conflitto con l'intervento di un piccolo contingente di monitoraggio della NATO e con l'impegno del governo a riconoscere culturalmente la minoranza albanese, ma intanto molti profughi hanno lasciato la Macedonia con qualunque mezzo soprattutto il mare. Che cosa è il mare? Lo si dica con le parole di Braudel riferito al Mediterraneo: “Non una cosa. Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.” Ma il mare ha una sua dualità, una sua ambiguità. Da una parte è armonia, un’immagine idealizzata del luogo della ‘libertà umana’, uno spazio ideale per comunicazioni permanenti fra diversi popoli, per un vero e proprio dialogo fra le culture. E dall’altra parte, ma altrettanto forte, si impone l’immagine del mare come luogo della disarmonia, delle turbolenze, dei conflitti. Zona di gloriose migrazioni, di ibridazioni fra i popoli, ma anche di malintesi, di avversioni costanti e ripetute. La drammaticità dei conflitti diventa un modus vivendi fino alla successiva soluzione, provvisoria e temporanea, del problema. Proprio per la predisposizione naturale delle culture al meticcio, ai contatti e all’ibridazione, è così triste e difficile accettare la realtà dei continui conflitti armati e le lunghe rivalità e negazioni dell’Altro. Il mare è diventato un insieme di molte contraddizioni e tanti scontri feroci, provocati dall’assenza di tolleranza etnica o religiosa. Si sono sempre di più allontanate l’una dall’altra le sponde del Nord e del Sud, quelle occidentali da quelle orientali. Oggi regnano processi di separazione e di particolarizzazione, i crolli dei sistemi multietnici e le tendenze a cercare dappertutto entità ‘autoctone’. Il concetto di convivenza nelle comunità multiculturali si scioglie davanti agli occhi. Nikola Madzirov, poeta macedone nato a Strumica da una famiglia di profughi di guerra dei Balcani scrive: “Un’anziana donna racconterà storie su di noi nella sala d’attesa ogni mattina. Persino quel che dico è già stato detto: aspettiamo il vento come due bandiere su un confine. Un giorno ogni ombra ci passerà accanto” e noi stessi saremo ombre per altri. Si passano vite intere a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un’anima e gli occhi di Rosa, bambina macedone che vende rose per strada da sola, qui in Puglia alla ricerca di una vita che a malapena conosce, rispecchiano un’anima pulita. Bisognerebbe scegliere due occhi davvero importanti e alla sera, prima d’andare a dormire, prendere a leggerli. Come il più bello dei libri. Ed io quella sera ho avuto questa grande fortuna: ci sono due modi per guardare il volto di una persona. Uno, è guardare gli occhi come parte del volto, l’altro, è guardare gli occhi e basta… come se fossero il volto. Gli occhi di Rosa hanno un colore particolare un po’ marrone come l’autunno, grigio come il vento dell’Adriatico, verde come i più puliti fondali del Mediterraneo. Sono vivi con domande che forse quella sera non si potevano esprimere, come se non esistessero ancora le parole con cui inquadrarle. Non c’era nulla intorno a noi se non qualche sguardo catturato in fretta di passanti increduli e indifferenti. Di cosa sono colpevoli? Il loro crimine, come dice Juan Goytisolo, è “il loro istinto per la vita e l’ansia di libertà”, quell’atomo di libertà che usano scappando dalla guerra o dalla miseria e rivendicando il diritto di spostarsi, di lavorare, di esistere, senza voler chiedere elemosina né scusarsi. I cadaveri in fondo al mare sono davvero troppi. Non si vuole sminuire la responsabilità dei trafficanti che sfruttano la disperazione degli esseri umani: in fondo è la stessa responsabilità dei negrieri del XIX secolo e mantengono con il sistema neocoloniale europeo lo stesso rapporto di dipendenza e funzionalità. Non si ha nemmeno l’intenzione di negare le responsabilità di quelli che, ad un prezzo equivalente a 15 biglietti aerei, affittano un centimetro di rischio su queste barche di Caronte. Anche l’ultimo degli esseri umani può decidere del proprio destino; ma anche l’ultimo degli esseri umani ha diritto a scegliere un destino migliore senza per questo giocarsi la vita. E’ l’ipocrisia, con le sue leggi sulle migrazioni, che nutre i cinici e finirà per mettere nelle loro mani i governi europei. Ma noi europei come facciamo a piacerci così tanto? Sta accadendo quello che il teologo tedesco Franz Hinkellammert chiama, a ragione, “genocidio strutturale” che si inscrive in quella lunga malattia europea che ci sta facendo marcire l’anima. E allora quegli occhi… quel sorriso… quella meraviglia… quella speranza…Rosa eppure "L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci" (Oriana Fallaci) e forse ci si è abituati a queste morti e a questi bambini. (Oriana Fallaci nella foto)

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