lunedì 13 luglio 2015

Storia del terrore. Robespierre e la fine della Rivoluzione francese di Roberto Paura. Per i tipi di Odoya dal 24 luglio 2015



Negli anni appena successivi alla Marcia su Versailles i rivoluzionari, divisi in due fazioni, si trovarono di fronte un’impresa inedita: costituire una nuova forma di autorità. La continuazione della rivoluzione si dimostrò, come spesso accade (basti pensare all’odierno Egitto), più onerosa della pars destruens. Il periodo del Terrore iniziò con quel taglio netto necessario a un nuovo inizio: la decapitazione del re. L’analisi di Roberto Paura, fondata sul parere di storici come Quinet, Gueniffey, Michelet, Soboul e tanti altri, parte dall'assunto che “se il 1789 fu il laboratorio politico del XIX secolo, il 1793 è stato senza dubbio il laboratorio politico del XX e del XXI secolo. Problemi straordinariamente moderni, dal suffragio universale al reddito minimo, dall’ateismo ai diritti sociali – il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione –, dall’emancipazione delle donne alla conflittualità tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, dai rischi di un potere incontrollato fondato sulla persecuzione di quanti non ne condividono il progetto politico” e non a caso l’ultimo monumentale romanzo dei Wu Ming, L'armata dei Sonnambuli (Einaudi 2014) riguarda proprio quel periodo. Paura si focalizza sul lasso di tempo che va dal 1793, in cui venne ghigliottinato il cittadino Luigi Capeto, al 1794, anno in cui un complotto in seno alla Convenzione volle e ottenne la morte di Maximilen Robespierre, "l’Incorruttibile" avvocato che sacrificò la propria esistenza alla causa rivoluzionaria. Girondini e Giacobini si combatterono sanguinosamente al fine di egemonizzare la forma politica, le leggi e i principi fondamentali della nuova forma politica che stava nascendo. Ma se i giacobini si indirizzavano verso una giusta redistribuzione della ricchezza (e non l'eliminazione della proprietà privata) come professava Rousseau, la gironda avrebbe preferito un sistema oligarchico. Tra i due, gli umori del "popolo", potenza spesso vista come cieca, altre come materia da interpretare e assecondare. Chi aveva creduto fino al giorno prima alla violenza per eliminare gli avversari politici, oggi la teme e anzi soccombe ad essa.
Il Terrore fu l’essenza stessa della rivoluzione, non il “raptus” di un momento. Ma precisa Paura: "è opportuno distinguere tra tre tipi di Terrore: il primo, quello che nasce con la Rivoluzione stessa, che ha le sue prime espressioni nella Grande Paura del 1789, e che dà vita alla mentalità complottista, ai massacri di settembre, è il Terrore che infetta le masse popolari e le élites rivoluzionarie. Il secondo Terrore è quello che coglie i girondini di fronte agli eccessi di violenza, soprattutto all’indomani dei massacri di settembre, e che li porta ad allontanarsi dalla base popolare della Rivoluzione, fino a esserne travolti. Infine, il Terrore istituzionale, quello teorizzato per primo da Danton, secondo cui «bisogna essere terribili per impedire che lo sia il popolo», e che cerca di incanalare la violenza popolare in una cornice legalitaria. Robespierre non ne è né l’espressione né l’autore, ma l’interprete più acuto."  L'analisi, ad ogni modo, non soppianta la  scorrevolezza della prosa e la piacevolezza dell'esposizione dei fatti. In definitiva, quello di Paura, è un saggio utile per capire senza altri strumenti un periodo di capitale importanza per la storia europea.

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