mercoledì 8 aprile 2015

"Io canto la canzon di primavera ...". Tutto nasce da sedici versi di Ada Negri!!! Intervento di Angelo Sconosciuto



Una ventina a tavola, per il pranzo di Pasqua, ben sei bambini e nessuno a declamare un verso. Nostalgia delle mie performances preadolescenziali? Chi può dirlo? Ho notato però, ad un tratto, che ripetevo mentalmente: “Io canto la canzon di primavera,/ andando come libera gitana,/ in patria terra ed in terra lontana,/ con ciuffi d'erba ne la treccia nera.// E con un ramo di mandorlo in fiore/ a le finestre batto e dico: Aprite,/ Cristo è risorto e germinan le vite/ nove e ritorna con l'April l'amore!// Amatevi fra voi, pei dolci e belli/ sogni ch'oggi fioriscon su la terra,/ uomini della penna e de la guerra/ uomini de le vanghe e dei martelli.// Schiudete i cuori: in essi erompa intera/ di questo dì l'eterna giovinezza;/ io passo e canto che vita è bellezza,/ passa e canta con me la primavera”.
Sedici versi in quattro strofe, quelli di Ada Negri: non i più belli di “Dinin”, dicono ancora oggi nella sua Lodi, ma ogni volta che è Pasqua questi versi tornano in mente, perchè legati ad un ricordo personalissimo dell’infanzia. Si era in IV elementare, anno scolastico 1971-72, ed il mio maestro non ebbe tempo, impegnato com’era in una carica di amministratore comunale, per farci mandare a memoria alcuna poesia per la Pasqua. Quei versi di Ada Negri, invece, furono quelli che mia madre, quarantottenne, mi fece mandare a memoria sfruttando al massino il poco tempo che aveva per conquistarsi un supplemento di attenzione da un bambino. Era quando al mattino mi aiutava e vestirmi e quando la sera mi accompagnava in stanza per andare a letto. “Io canto la canzon di primavera…”, iniziava sempre lei ed io a ruota, ogni volta migliorando e spostando un verso più in là l’ideale asticella della conoscenza mnemonica, mentre lei convinta continuava… Lei che, a sua volta, quei versi li aveva appresi in IV elementare, nell’anno scolastico 1932/33, su sollecitazione della “maestra forestiera”, della quale parlava sempre con affetto e ammirazione.
È stato un attimo, durante il pranzo di Pasqua. Ho pensato che proprio quest’anno il circo dei media, che detta il calendario degli anniversari degni di essere ricordati, ha preferito lasciare nell’oblio il 70° anniversario della morte della poetessa perché solo il giornale on line “Il Primato nazionale” se n’è ricordato, mentre il 25 marzo successivo su Repubblica.it è stato postato un filmato in cui una grande Giuliana Lojodice legge dal camerino del Teatro India di Roma “Sinfonia azzurra”, “una poesia di Ada Negri – spiegano nella didascalia -, prima e unica donna italiana ad essere ammessa all’Accademia d’Italia”. E penso: non sarà stata l’etichetta del Ventennio prevalente su quella di un’espressione poetica al femminile? Di certo è strano che la Negri non venga nemmeno citata da Prezzolini nella sessanta cartelle della sua storia breve della letteratura italiana e non trovi posto in diversi manuali di storia della letteratura italiana contemporanea. Eppure, lo storico della letteratura italiana di “ispirazione marxista” Giuseppe Petronio, nella sua opera di larga consultazione su “l’attività letteraria in Italia”, a proposito dell’età del positivismo e dei cosiddetti “realisti e ribelli” annotò: “Gran fama negli ultimi anni del secolo ebbe anche la lodigiana Ada Negri (1870-1945). Di origini modestissime, conseguito il diploma di maestra insegnò nelle scuole elementari, e divenne celebre per le raccolte Fatalità (1892) e Tempeste (1895) dal contenuto socialisteggiante e dal linguaggio retoricamente immediato. Più tardi – aggiunse – ripiegò verso una lirica sollecitata dai moti della sua sensibilità femminile ed espressa con arte raffinata ed esperta”. Appena sette righe, non molte in verità, ma sempre meglio di un oblìo forzatamente voluto da altri. (Ada Negri nella foto)

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